Il monaco e il chiodo
Un giovane monaco stava costruendo una piccola porta di legno per la sua cella.
Martellava con calma, ma uno dei chiodi entrava storto. Si fermò, lo guardò, e decise di estrarlo. Nel farlo, rovinò un po’ il legno.
Allora prese un altro chiodo e ricominciò. Anche questo entrò storto.
Sospirò.
Il vecchio abate passò di lì e lo osservò in silenzio per un po’. Poi disse:
“Ogni volta che provi a raddrizzare qualcosa, lo ferisci di più.”
Il monaco si fermò, confuso.
“Ma allora che dovrei fare, Maestro? Lasciare il chiodo storto?”
L’abate sorrise.
“Se il chiodo regge la porta, la porta è già perfetta.”
Il giovane rimase in silenzio. Quella notte non dormì.
Al mattino seguente, guardò la porta: era leggermente storta, ma si apriva e si chiudeva con dolcezza.
Capì allora che non tutto ciò che è dritto è giusto, e non tutto ciò che è storto è un errore.

Morale della storiella Zen
Nella vita siamo abituati a voler raddrizzare tutto: gli errori, le persone, persino noi stessi.
Pensiamo che la perfezione coincida con la linearità, con l’idea che “tutto deve andare dritto”.
Ma la vita non è fatta di linee rette: è fatta di curve, pieghe, nodi, deviazioni.
Il monaco cerca di raddrizzare il chiodo – cioè cerca di aggiustare a forza qualcosa che, in fondo, funziona già.
E in questo tentativo lo rovina, come spesso facciamo con le nostre emozioni: vogliamo sistemarle, correggerle, cancellarle.
Il maestro gli ricorda che la vera armonia non è l’assenza di imperfezioni, ma la capacità di accogliere ciò che è, così com’è.
Quando smetti di voler essere perfetto, ti accorgi che dentro di te c’è già una forma di equilibrio naturale, spontanea, viva.
Perché la serenità non arriva quando tutto è a posto,
ma quando smetti di avere bisogno che lo sia.










