Dialogo sull’ansia e il controllo

“Maestro, credo che l’ansia abbia preso il volante.”
“Hai provato a chiederle dove vuole andare, Sophia?”
“Non parla, corre.”
“Corre via da qualcosa o verso qualcosa, Sophia?”
“Forse via dal fallimento.”
“Ma tu non sei un traguardo da raggiungere. Sei una persona.”
“E quindi?”
Puoi fermarti. Scendere dall’auto. E tornare a camminare.”
“Anche se il percorso non è chiaro?”
“Specie se non è chiaro, Sophia.”
“Portami tra gli alberi, Maestro.”
“Dove i pensieri respirano, Sophia.”

Riflessione del giorno

L’ansia è come un’ombra che corre davanti a noi, credendo di dover arrivare prima della luce. Quando Sophia dice: “Credo che l’ansia abbia preso il volante”, ciò che sta davvero dicendo è che la mente si è temporaneamente identificata con una sensazione di separazione, con un’idea di se stessa che deve raggiungere qualcosa o sfuggire a qualcosa. Ma questa idea non è ciò che siamo come individui.

L’ansia non ha direzione propria. Corre solo quando non viene guardata. Appena la invitiamo con una domanda gentile – “Dove vuoi andare?” – ci accorgiamo che in realtà non lo sa. È agitata, non perché sappia cosa sta cercando, ma perché ha dimenticato da dove viene.

Poi, Sophia risponde “forse fugge dal fallimento”, e ciò che intende è che c’è una parte di noi che crede di dover meritare l’amore, di dover essere qualcosa per valere qualcosa. Ma, non c’è nessun traguardo da raggiungere. L’amore che cerchiamo non ci aspetta alla fine del cammino. È ciò che ascolta queste parole. È ciò che guarda, proprio ora, attraverso i nostri occhi.

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Allora possiamo scendere dall’“auto”. Non perché il viaggio sia finito, ma perché il correre non è più necessario. Possiamo camminare. Sentire i nostri passi nella terra della presenza. Possiamo anche perderci – anzi, è prezioso perdersi, perché solo quando ci arrendiamo alla non-conoscenza, il cuore può cominciare a vedere davvero.

Anche se il percorso non è chiaro?
Specie se non è chiaro. Perché nella chiarezza c’è il controllo, ma nell’incertezza abita l’intimità col Mistero.

Infine, Sophia chiede al Maestro: “Portami tra gli alberi”, sta chiedendo di essere riportata al silenzio che non giudica, alla quiete che accoglie, al luogo in cui i pensieri non spingono, ma respirano, si dissolvono e tornano a essere ciò che sono sempre stati: nuvole passeggere nel cielo della consapevolezza.

Lì, Sophia, è già a casa, noi siamo già a casa.
Non dopo. Non domani. Ora.

Pensiero Zen del giorno: dialogo sull'ansia e il controllo

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