Ricetta per la grandezza: sopportare la perdita; combattere l’amarezza della sconfitta e la debolezza del dolore; vincere la rabbia; sorridere quando le lacrime sono vicine; resistere alle malattie, agli uomini malvagi e agli istinti bassi; odiare l’odio e amare l’amore; andare avanti quando morire sarebbe un bene; guardare con fede incrollabile a qualcosa che sta per arrivare. Questo è ciò che ogni uomo può fare, ed essere grande. – Zane Grey
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Spunti di riflessione del giorno
Essere grandi. Non è una questione di gloria. È una questione di dignità.
La possiamo chiamare “ricetta per la grandezza” – ma non è una ricetta. Non si misura in grammi, non si cucina a fuoco lento. È sangue, è carne, è volontà. È l’ostinazione feroce di chi si rifiuta di cedere alla mediocrità del mondo.
Sopportare la perdita, anche quando brucia e lacera. Ma sopportarla è l’inizio. Perché perdere è umano, sì, ma trasformare la perdita in forza è disumano, e quindi divino. Solo chi ha conosciuto il vuoto può scegliere di riempirlo con il proprio coraggio.
Combattere l’amarezza della sconfitta. Perché la sconfitta è un’ombra viscosa che ti si aggrappa all’anima, e ti sussurra: “Non ne vale la pena.” E invece sì, maledizione, ne vale la pena. Sempre.
Vincere la rabbia. Non soffocarla: vincerla. Domarla. Usarla come benzina per il motore, non come veleno nelle vene. La rabbia cieca è la resa dei deboli. Ma la rabbia consapevole? Quella è una spada.
Sorridere quando le lacrime sono vicine. Non per ipocrisia. Per sfida. Per orgoglio. Per gridare al mondo: “Non mi spezzi.” Perché è facile piangere. È difficile sorridere. E chi ci riesce, è già un po’ immortale.
Resistere. Alle malattie. Agli uomini vili. Ai demoni che portiamo dentro. Perché la grandezza non è purezza: è resistenza. E chi resiste, chi non cede all’infezione del cinismo, è un guerriero.
Odiare l’odio. Amare l’amore. Due verbi semplici. Due rivoluzioni. Perché in un mondo dove tutti si vendicano, chi perdona è un rivoluzionario. E chi ama, chi ama davvero, senza paura, senza tornaconto, è un eroe.
Andare avanti quando morire (arrendersi interiormente) e lasciarsi andare sarebbe un sollievo. Ecco la vetta. Il momento in cui l’essere umano si separa dalla bestia. Quando il corpo e l’anima implorano riposo, ma lo spirito dice: “Ancora un passo.” Ancora uno. Perché la fede è questo: credere in qualcosa che non vedi, ma che senti respirarti dentro.
La grandezza non è dei santi, né degli eroi dei libri. È degli uomini che non si arrendono. Di quelli che cadono cento volte e cento volte si rialzano. Con le ossa rotte e il cuore aperto, ma con lo sguardo dritto. Verso quel futuro che ancora non c’è, ma che sanno – lo sanno – arriverà.