Anche la cella forgiata dalla propria mano deve prevedere una via di fuga: il guerriero non rinuncia alla chiave, neppure quando accetta il carcere. – Pensiero del Giorno Blog
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Spunti di riflessione del giorno
Ogni prigione che l’uomo si costruisce – sia essa fatta di paura, colpa, orgoglio o bisogno di controllo – nasce da un tentativo di compensare un sentimento di inferiorità. L’individuo limita il proprio campo d’azione per contenere l’ansia dell’insuccesso, per trovare sicurezza in una struttura chiusa. Ma l’errore non è nella costruzione della cella: è nel dimenticare di conservarne la chiave.
La chiave è il ricordo della propria libertà interiore, è la consapevolezza che ogni scelta, anche quella di restare nel proprio limite, può essere riorientata. Il “guerriero”, in senso simbolico, è l’individuo che ha riconosciuto la sua responsabilità nel forgiare il proprio destino, e che mantiene aperta la possibilità di cambiare direzione.
Il carcere, allora, non è condanna, ma tappa. Non è fine, ma mezzo. L’importante è non cadere nella finzione che “così sono e così resterò”, perché lì si spegne la crescita. Il compito dell’uomo è conservare il legame con il suo progetto di vita: e ciò implica non rinunciare mai alla facoltà di aprire la porta e avanzare.
Riconoscere la propria prigione è la chiave
La cella che l’essere umano si costruisce non è un errore, ma una fase necessaria nell’evoluzione della coscienza individuale. È attraverso l’illusione del limite – la separazione, l’identificazione con l’ego, il controllo – che l’Io può riconoscere sé stesso come parte attiva della realtà.
Ma se la prigione è utile, lo è solo fino a un certo punto. Diventa tossica quando l’individuo dimentica la propria natura più profonda: quella di essere non una macchina, ma una presenza cosciente, creativa, viva. La chiave della cella, allora, è la presa di coscienza, l’intuizione che il proprio Sé non è riducibile a ciò che appare, a ciò che fa, o a ciò che pensa di essere.
La vera libertà non nasce da fuori, ma dalla capacità della coscienza di riconoscere se stessa come origine e fine dell’esperienza. È da lì che si apre la porta. E ogni uomo, anche nel carcere dell’identità egoica, ha in sé la possibilità di risvegliarsi a questa verità.
La via di fuga non è un atto di ribellione, ma un atto di riconoscimento. L’uomo è prigioniero finché crede di essere solo la sua storia. Ma nel momento in cui si ricorda di essere coscienza incarnata, creatrice e indivisibile dal tutto . . . la serratura si scioglie da sola.