La via che sembra salire è la stessa che discende: la distinzione è solo prospettica. L’inizio e la fine non sono opposti, ma due aspetti del medesimo continuum. Non è una verità imposta dall’io, ma riconosciuta quando la mente si quieta: ogni cosa è interdipendente, ogni fenomeno è parte dell’unità. Tuttavia, anche nell’unità, ogni evento sorge nel suo tempo, secondo le condizioni che lo rendono possibile. – Pensiero del Giorno Blog
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Spunti di riflessione del giorno
Nel silenzio contemplativo della mente pacificata, le dicotomie che abitualmente ci appaiono come evidenze – salita e discesa, inizio e fine, soggetto e oggetto – si dissolvono come nebbia al sole della consapevolezza. La frase del giorno “la via che sembra salire è la stessa che discende” ci richiama a un principio fondamentale tanto nella fisica moderna quanto nella filosofia buddhista della vacuità: le apparenze sono funzione della prospettiva, non di una realtà oggettiva e fissa.
Nessun fenomeno sorge indipendentemente, né esiste per diritto proprio. Ogni evento si manifesta solo in dipendenza da cause e condizioni, secondo una legge di origine dipendente (pratītyasamutpāda) che non è fatalismo, ma libertà nella consapevolezza delle condizioni.
La comprensione di questa realtà non è frutto di una speculazione filosofica, ma il risultato diretto di una mente stabilizzata nella meditazione. Quando la mente è quieta, ciò che resta non è il vuoto dell’annichilimento, ma l’intima interconnessione di tutti i fenomeni: ogni cosa è “parte dell’unità” proprio perché nulla può esistere in isolamento.
Infine, l’osservazione che “anche nell’unità, ogni evento sorge nel suo tempo” è una verità che si può cogliere con l’intuizione e che si riferisce alla non-dualità del tempo e dell’eternità: ciò che è uno non è mai indistinto; ciò che è interdipendente non è mai casuale. L’universo è una sinfonia di eventi che emergono, ognuno al suo posto, non per volontà di un io sovrano, ma per il delicato equilibrio di tutte le condizioni che lo rendono possibile.
Ogni cosa è Uno, ma ogni istante è irripetibile
Questa comprensione non è frutto di un ragionamento astratto, ma emerge naturalmente quando la mente si stabilizza nella calma (śamatha) e si apre alla visione penetrante (vipaśyanā). È allora che ci accorgiamo che inizio e fine non sono opposti, ma due volti della stessa corrente di coscienza, un continuum non interrotto. Come insegna anche la tradizione Zen: “Il cammino non ha né inizio né fine, eppure ogni passo è completo.”
Nel linguaggio del Buddha, questo è pratītyasamutpāda, l’origine dipendente: nessun fenomeno esiste di per sé, nulla sorge indipendentemente. Tutto è interconnesso. Eppure, proprio nella sua interdipendenza, ogni fenomeno sorge con la sua unicità, come il suono di una campana che vibra solo quando il legno e il metallo, l’aria e l’intenzione del monaco si incontrano. La tradizione Zen lo esprime con la stessa chiarezza: “La primavera non si affretta, eppure tutti i fiori sbocciano.”
Nel silenzio della mente che si acquieta, ciò che rimane è una consapevolezza senza centro, non egocentrata, aperta – ciò che nello Dzogchen chiamiamo rigpa e che nello Zen è lo sguardo del satori: vedere le cose così come sono, senza sovrapporre alcun concetto. È lì che si riconosce l’unità, non come un’idea, ma come esperienza viva, pulsante.
Ma anche nell’unità, il tempo non è negato. Non cadiamo nell’errore di cercare rifugio in un eterno indistinto. Ogni cosa ha il suo momento di fioritura, ogni evento il suo sorgere e svanire. Come dice il Maestro Dōgen: “Il tempo è esistenza, e l’esistenza è il tempo”. Questo è il paradosso che abbracciamo nella meditazione: tutto è uno, eppure ogni istante è irripetibile.